Quando il lavoro diventa soverchiante e finisce per rovinare la vita del lavoratore è possibile chiedere un risarcimento danni: cosa dice la legge.
Scegliere il lavoro è uno dei compiti più complicati che si pongono innanzi a ciascuno di noi. Per come è strutturata la società odierna, infatti, ogni persona è chiamata a pensare quale possa essere la propria professione già a partire dall’adolescenza, quando cioè ci si deve formare e si deve ancora capire tanto su se stessi e sulla strada che si vuole intraprendere.
Un errore di valutazione in età scolastica – quantomeno durante la scuola dell’obbligo – è ancora recuperabile, ma se non si hanno le idee chiare nella fase successiva – quando cioè bisogna scegliere se entrare direttamente nel mondo del lavoro o proseguire gli studi – potrebbe condizionare tutto il resto della vita.
Capita più spesso di quanto si pensi che il percorso scelto in giovanissima età e dunque la tipologia di lavoro a cui si può aspirare non sia confacente alle esigenze e alle aspettative del singolo e che, per varie ragioni, a quel punto possa essere troppo difficile cambiare strada.
Va considerato inoltre che non esiste il lavoro perfetto e che lavorare di per sé comprendere stress e fatica. Ciò non significa che il lavoratore debba accettare condizioni di lavoro inique o che debba reputare normale che lo stress influenzi negativamente anche tutto il resto della propria esistenza.
Quando si può chiedere il risarcimento per troppo lavoro
La legge prevede delle tutele dei lavoratori per quanto riguarda il rispetto dei loro diritti retributivi, ma anche della loro incolumità fisica. Chiaramente ci si trova di fronte ad un illecito se il datore di lavoro non offre un contratto regolare e se non versa i contributi, allo stesso modo ci si trova davanti ad un illecito se registra un contratto che non rispecchia le reali mansioni svolte, il tempo di occupazione e il minimo salariale.
La legge prevede anche che siano corrisposti dei risarcimenti nel caso in cui la tipologia di lavoro o la strutturazione dei turni espone il lavoratore a rischio biologico o gli causa problemi di tipo fisico. Verremo dunque risarciti nel caso in cui ci si infortunasse sul lavoro o se a causa del lavoro svolto sviluppassimo delle patologie collegabili alla mansione svolta.
Ma cosa succede se il danno è di tipo psicologico? Sappiamo per certo che è previsto un risarcimento in caso di vessazioni sul posto di lavoro (mobbing da parte del datore di lavoro o dei colleghi) che abbiano implicazioni sulla psiche e sulla vita del lavoratore. Tuttavia si possono subire danni anche per il troppo lavoro – magari turni che si prolungano costantemente oltre le ore lavorative standard – o per una pessima organizzazione dei turni che costringa il lavoratore a sacrificare il proprio tempo libero.
In questi casi non esiste una legge vera e propria che tutela il lavoratore – intesa come articolo specifico sulla problematica -, tuttavia questo può chiedere il risarcimento se è sottoposto costantemente a superlavoro (turni troppo lunghi, stress eccessivo legato al raggiungimento di risultati irrealistici) se riesce a dimostrare il nesso causale tra questo e il danno biologico, che nel caso esaminato sono patologie psicologiche collegate allo stress eccessivo.
A carico del lavoratore c’è l’esigenza di dimostrare che lo stato di malessere psichico è causato da super lavoro, portando prove che l’onere lavorativo è andato oltre la soglia della normale tollerabilità. Spetterà al giudice valutare gli orari di lavoro a cui il lavoratore è stato sottoposto sul lungo termine, confrontandoli con quelli stabiliti dal contratto e con le soglie limite previste dalla legge.