Sono sempre più frequenti le crisi di panico in una determinata fascia d’età: ecco le ragioni di un boom di cui si parla poco.
Difficile descrivere a chi non ha mai sofferto di attacchi di panico quanto possa essere terribile essere aggrediti da una sensazione di una morte imminente che si spalanca davanti senza preavviso. Il respiro si blocca e monta un terrore che paralizza ogni parte del corpo.
Un attacco di panico ha sintomi fisici che possono anche far pensare a un infarto o a un ictus. Dura generalmente tra i dieci e i quindici minuti e fa battere il cuore a più non posso, dà un senso di soffocamento e di nausea. Ma non solo: ci sono anche le vertigini, i brividi, i tremori. Senza contare i dolori addominali, la sudorazione, le vampate di calore.
In Italia non sono pochi quelli che soffrono di attacchi di panico. Le stime parlano di cifre che oscillano tra i 2,5 e i 3 milioni di persone. Il punto è che sempre più spesso a essere colpita da questa tremenda condizione è una particolare fascia d’età, con casi di attacchi di panico sempre più frequenti.
Sempre più spesso gli attacchi di panico colpiscono bambini e adolescenti. Lo dice una ricerca di Skuola.net e dell’associazione Di.Te. Dai dati emerge che un ragazzo su due nella fascia d’età compresa tra gli 11 e i 19 anni afferma di aver sofferto di almeno una crisi di panico. Una percentuale enorme, pari al 50% dei giovanissimi.
Sempre più spesso in clinica si presentano ragazzini agli inizi della scuola secondaria o perfino bimbi della primaria che manifestano sintomi dell’ansia paralizzante che li assalgono mentre fanno sport, sono a scuola o semplicemente si stanno relazionando con qualcun altro. Le cause di questi attacchi, secondo Daniela Chieffo, responsabile dell’Unità operativa di Psicologia clinica del Policlinico Gemelli, sono prevalentemente sociali.
«Bimbi e adolescenti- spiega l’esperta a Donna Moderna – sono oggi spesso vittima di un clima giudicante che respirano a scuola e in famiglia già da piccoli, esposti al confronto con gli altri, a dei modelli a volte irraggiungibili, allo stress di dover compiacere i propri genitori». Ma non è tutto: oltre alla pressione esercitata dal confronto sociale e dagli standard irrealistici c’è anche la tendenza, prosegue la dottoressa Chieffo, a «far bruciare loro le tappe, pretendendo cose che si chiederebbero a ragazzi più grandi».
A tutto questo si aggiunge quello che l’esperta definisce «un eccesso di visibilità». Insomma, quel processo di “vetrinizzazione sociale” che porta tutto e tutti a essere sempre in vetrina, costantemente esposti allo sguardo altrui, dalle chat di WhatsApp al registro scolastico. Il tutto si traduce in «un peso troppo grande, sotto il quale non sempre [i giovanissimi] reggono».
All’origine di un disturbo come il panico c’è con ogni probabilità una predisposizione genetica. A “scatenarla” possono essere situazioni come un lutto o condizioni come una paura latente. Un ruolo possono averlo anche gli sbalzi ormonali tipici del periodo dell’adolescenza. Altre volte il fattore scatenante può essere un malessere sotterraneo che pur non emergendo in superficie cova comunque nell’intimo.
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